
“Le più varie espressioni a cavallo tra pittura, fumetto e produzioni multimedia, spesso segnate da una riottosa sensibilità neo-pop e interfacciate con l’immaginario del rock e delle nuove sonorità elettroniche, vengono date oramai per acquisite al ventaglio delle nuove tendenze artistiche negli Stati Uniti – dove hanno conquistato vetrine in prestigiosi musei e dove consentono il proliferare di un florido circuito di gallerie alternative e riviste specializzate – ma sono guardate ancora dalla critica con sospetto e disattenzione in ambito europeo, il vecchio continente pare infatti ancora restio a metabolizzare un’espansione del sistema dell’arte, corrispondente anche ad un ricatto generazionale nei ranghi dei collezionisti, che vada ad includere ibridazioni con sub-culture pop(olari) “politicamente scorrette” e produzioni industriali o massmediali a costi contenuti. Eppure non mancano, anche in Europa, personaggi che figurerebbero con onore sulle pagine di Juxtapoz e Rav Vision. Prendiamo il caso, uno tra tanti ma ugualmente esemplare, Helmut King, autore dal segno deciso e accattivante nato nel 1950 e attivo professionalmente dalla fine del decennio successivo tra Austria e germani (con studio a Bregenz e Lindau), un artista che ha assorbito la lezione delle avanguardie storiche e i modi dell’espressionismo astratto, contaminandoli con miti e strategie del Pop e del graffitismo, fino a pervenire ad uno stilizzato (pseudo)primitivismo figurativo dal vivace impatto coloristico. Simboli ricorrenti nel vocabolario di King sono difatti personaggi irrispettosi (quali un pesce e un piccolo re che fanno la linguaccia) che rimandano alla patafisica Dada di Papà Ubu come agli omini elastici di Keith Haring. Ludici antieroi cartooneschi che oltre a popolare tele, cornici, mobili e pareti escono dagli spazi deputati per far mostra di sé sulle vele di barche che solcano alpini laghi alpini o da installazioni in spazi pubblici come il grande murale assemblato in una piazza austriaca con migliaia di piccoli badge usati a mò di tessere di mosaico, ciascun bottone recante un diverso disegnetto originale Come Un Mastro Geppetto psichedelico King grande fan della musica di Frank Zappa, porta poi alla vita nel suo affastellato studio, oltre a piccole sculture in legno semovibili su rotelle come bizzarri giocattoli, una serie infinita di omuncoli, mostri, sciamani, alieni, gnomi, indiani e cow-boy realizzati tramite l’ingegnoso recupero di pacchetti vuoti di sigarette, ritagliati e dipinti a violenti contrasti di colori primari e di tappi da birra o champagne, carta stagnola e altri piccoli oggetti di scarto, usati per creare occhi, tette, capelli, corazze e agghindare fantiosamente le antropomorfiche creazioni. Impossibile non rammentare anche il meticoloso bricolage del riciclo di autori Fluxus come Al Hansen, a cui lirici nudi femminili assemblati con mozziconi di sigaretta raccolti per strada King risponde coi suoi fragili e ieratici Cigarette Box People (il catalogo omonimo è del ‘96 per le edizioni Christian Schneeberger di St. Gallen), totemici personaggi a tre dimensioni contenuti in scatole-cornici multicolori, appartenenti a fantasiose mitologie urbane ed evocative divinità falliche e altri motivi dell’arte primitiva, uniti agli atteggiamenti sessualmente disinibiti dei comix underground. Se la California ha i suoi Hell’s Angels motorizzati e una vivace sottocultura di scapestrati tatuatori e illustratori di custom car, non da meno sagaciamente edonistica è del resto la tradizione teutonica dagli Oktoberfest, che King amalgama nei suoi meta – fumetti mettendo enormi boccali di birra in mano ai cow¬-boy e affiancandoli alle placide vacche al pascolo dei penditi alpini. Che LA e la Baviera non siano poi tanto distanti il baffuto artista lo dimostra anche in una serie di movimentate serigrafie ispirate a brani celebri delle Mothers of Invention, raccolte nel 2000 nel cofanetto I’m the indian of the Group (che che comprende anche un CD, un pin metallico, uno stencil e un paio di bacchette da batterista) realizzato con l’imprimatur e la fattiva collaborazione di Jimmy Carl Black, storico membro della formazione americana “L’indiano del gruppo”, come amava introdurlo in concerto Zappa, da qualche tempo si è difatti trasferito in Germania e qui opera con la sua nuova band The Grandmothers, per cui King ha realizzato alcune copertine. “Arte è quando crei qualcosa dal nulla…e poi la vendi”, tenendo fede alla pragmatica affermazione del suo idolo Zappa, King ha spesso giocato e ironizzato sul concerto di marketing dell’opera d’arte, non solo producendo linee di magliette, badge, cartoline, francobolli, ma anche promovendosi col contraddittorio motto “Sostieni l’arte, non comprare un King”: non acquistando un suo quadro – argomenta l’artista nell’introduzione ad una mostra – puoi risparmiare fino a diecimila euro, ma tornado a casa dalla galleria potresti perdere il portafoglio, lo trova un artista squattrinato che ha conflitti di coscienza ma poi spende tutto al gioco e in alcolici, fa un incidente d’auto e muore…per risolvere lo spinoso problema economico, King ha portato a termine nel corso del 2000 il progetto Y2K-Daily Pix, ovvero per un anno ha creato ogni giorno, datandola con un timbro, una diversa opera formato cartolina. Ha poi documentato il tutto su CD – Rom ed esposto l’intera collezione alle pareti del Café Kolibri di Bregen, dove gli avventori potevano scegliere e acquistare per modica cifra uno dei lavori. Ancora più paradossale, come commento alla mercificazione dell’arte, è poi la serie di banconote in diversi tagli da 5 fino a 1000 “Kretzer” di valore, ideate nel 2003 per il Regno Unito di Kretzer (dal nome di un gruppo di artisti di Bregenz di cui ha fatto parte), con cui King aderisce al progetto internazionale Fantastic United Nations (FUN) denaro d’artista multicolore che l’autore dispensa a piene mani in performance effettuate in margine alla Biennale di Venezia e all’interno di una vera banca austriaca, confezionanto però in mazzette numerate e firmate per essere “(s)cambiate” con quantitativi corrispettivi di valute tradizionali. Nel linguaggio delle strip comiche, le banconote riportano ovviamente motti (zappiani) ben poco rispettosi: “We’re only in it for the money”, “Money talks, bullshit walks”, “Dov’è la birra e quando ci pagate?” Perché affannarsi ad investire in quadri, quando si può chiudere direttamente in cassaforte il denaro d’artista?” Col suo contagioso universo di “artoons”, capaci di espandersi su grandi tele in un avventuroso groviglio di erotiche narrazioni come di condensarsi in fulminanti gag formato francobollo. Helmut King indica la strada assieme a tanti altri outsider – come il nostro Gianluca “Professor Bad Trip” Lerici, per citare un autore del tratto similmente forte e riconoscibile – ad una via europea al “Pop mutante” del terzo millennio Wanna Buy a King?“
Vittore Baroni








Indirizzo: Reutegasse 21 6900 – Bregenz Austria
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