
Il tempo come ossessione
On Kawara è stato un artista concettuale giapponese. On Kawara (河原温, Kawar On; Kariya, 24 dicembre 1932 – New York, 10 luglio 2014).
Famoso per la sua ossessione per il tempo è, infatti, autore di circa duemila tele che riportano la data del giorno in cui sono state realizzate: è la famosa Today Series, nata il 4 Gennaio 1966. La data è sempre chiara dipinta su sfondo scuro e secondo la convenzione linguistica del paese in cui On Kawara si trova in quel momento; talvolta allega alle opere pagine di giornali della stessa giornata. La curiosità è che se l’artista non riesce a finire l’opera entro la mezzanotte della data dipinta essa verrà definitivamente distrutta. All’apparenza le opere risultano tutte simili sebbene le date siano diverse, eppure sono da considerarsi uniche come i giorni che passano e che, pur avendo varietà di avvenimenti, accadono all’interno di una stessa “cornice”. Possono essere opere che non sembrano avere qualcosa da dire all’osservatore, in quanto risultano totalmente oggettive, eppure, quando ci si imbatte in una data legata profondamente alla nostra vita, allora assumono connotazioni decisamente evocative. Vi è un intreccio in queste opere tra vita personale e mondo: Kawara rappresenta sulla tela sia la sua esperienza del tempo che passa, con la data che indica l’inesorabile passare dei giorni, sia il tempo del mondo attraverso l’utilizzo delle pagine del giornale del giorno stesso, a dimostrazione che il tempo scorre e di nulla si può essere certi se non del fatto che domani sia un altro giorno che chissà cosa ci riserba. Un’altra opera di Kawara legata al concetto di tempo è One Million Years che consiste in libri divisi in due parti, Past e Future contenenti in ordine cronologico gli anni, un milione nel passato, un milione nel futuro. Un’opera incredibile dal punto di vista concettuale in quanto serve per far rendere conto l’osservatore del poco tempo a disposizione su questo mondo. Da qui, dalla volontà di superare questa paura dello scorrere del tempo, Kawara ci presenta le date scritte come a volerci dire “sono solo dei numeri” ed esorcizzare così la nostra finitezza.
Nel 1966 On Kawara, Trasferitosi a New York l’anno precedente, inizia la serie “Date Paintings”. Ognuna delle opere, che nel loro complesso costituiscono l’insieme “Today Series”, consiste in un piccolo quadro di formato rettangolare a fondo monocromo, nero o rosso, sul quale sono dipinte in bianco le lettere e le cifre che compongono la data del giorno. La stesura del colore di fondo e del bianco dell’iscrizione risponde a un protocollo minuziosamente predisposto e rigorosamente osservato, e, nel caso che il dipinto non sia completato entro la mezzanotte del giorno in cui è stato iniziato, esso viene distrutto. Ogni quadro ha come titolo la data che vi è inscritta e come sottotitolo una frase tratta da un quotidiano del giorno, riposto in una scatola di cartone etichettata con la data corrispondente e foderata al suo interno con un ritaglio di un quotidiano letto dall’artista durante quella giornata.
Ovviamente il tempo è l’oggetto dello studio di Kawara, quell’esperienza del tempo vissuta sia dal punto di vista individuale, dei giorni, degli anni che scorrono, inesorabili, sulla pelle dell’artista e quindi sulla pelle della tela, sia dal punto di vista storico, del mondo che vede la sua storia raccontata attraverso le prime pagine di quotidiani casuali. Perché di casualità che parla l’artista giapponese, casualità che domina questa serie a partire dai sottotitoli, dai quei frammenti di giornali che si ritrova ogni mattina davanti la porta. Eppure è proprio questo che vuole tramandare ai posteri, questa visione del tempo, in cui di nulla si può esser certi, nulla tranne una cosa: domani è un altro giorno e non possiamo sapere che cosa ha in serbo per noi. E allora non si può proseguire domani qualcosa che si è iniziata oggi, e se non la si completa in tempo non c’è altro da fare che ditruggerla.
“One Million Years” un’altra sua opera fondamentale sullo scorrere del tempo: consiste in dei libri divisi in due parti, una denominata Past e una Future, contenenti soltanto, in ordine cronologico, l’indicazione di anni, precisamente di un milione nel passato e di un milione nel futuro. Partendo da ciò ci sono tre possibili modi di fruire l’opera:
1 la performance di volontari che leggono una serie di date;
2 l’ascolto di audio cd con la registrazione della suddetta performance;
3 la lettura diretta dei libri.
La prima presentazione avvenuta nel 1993 al Dia center for the Arts di New York.
I visitatori potevano ascoltare One Million Years (Future) mentre veniva letta da delle persone, mentre si poteva osservare il libro di One Million Years (Past) e sulle pareti una raccolta dei Date Paintings. Ma l’esibizione più importante certamente avvenuta nel 2002 alla manifetazione Documenta 11 a Kassel, dove una coppia di volontari, sempre un maschio e una femmina, seduta dentro una cabina, poteva essere osservata mentre leggeva date tratte sia dalla parte Future che dalla parte Past, durante un arco di tempo di 100 giorni.
Ancor più che nella Today Series, da questo progetto di evince l’ossessione per il tempo di On Kawara. Un’opera monumentale, certamente non dal punto di vista realizzativo, ma dal punto di vista concettuale: un’idea pesante destinata ad appesentire la mente del fruitore, un fardello da portarsi dietro e con cui bisogna fare i conti. Perchè rendersi conto, ascoltando o leggendo gli anni che scorrono, di quanto poco tempo siamo destinati a passare su questo mondo, di quanto siamo, in fin dei conti, insignificanti rispetto alle ere geologiche che fa declamare Kawara, è certamente uno spunto per riflessioni importanti. Ma per l’artista giapponese pare essere proprio questo il modo giusto per esorcizzare l’ancestrale paura del tempo che passa: scrivere così tante date da trasformarle in nient’altro che numeri, così tante da far dimenticare il significato convenzionale loro attribuito, così tante da farle tornare ad essere soltanto segni grafici.
Come si può vedere da questi accenni, On Kawara ha fatto del tempo terreno fertile per la sua ricerca, fino a farlo diventare quasi un’ossessione artistica. Tutte le sue opere più importanti hanno a che fare con la catologazione, cioè con un accumulo temporale di informazioni: da quelle che abbiamo velocemente analizzato alle cartoline di “I Got Up At”, dai telegrammi di “I’m Still Alive” alle cartine di “I Met”. E se è pur vero che è fin dall’ultimo quarto del XIX secolo che l’opera d’arte viene vista anche come un fatto puramente temporale in quanto frutto di un lavoro che richiede del tempo, il giapponese Kawara compie quello che è forse il passo successivo: visualizzare il fondamento temporale dell’operazione artistica, e visualizzarlo senza metafore o altre figure retoriche, semplicemente per quello che è o, per meglio dire, per ciò che a noi sembra.
Finora abbiamo parlato di arte concettuale, ma cos’è l’arte concettuale? Una bella definizione, che cerca di tirare le somme di ciò che gli artisti che si facevano chiamare concettuali hanno detto o scritto. Personalmente credo che questo filone artistico, come tutti gli altri, non possa essere etichettato dandone una spiegazione generale e generica: basti pensare alle varie modalità di espressione che gli artisti concettuali usarono per fare arte (chi si focalizza sullo sviluppo del ready-made, chi sulla serialità, chi sulla catalogazione, chi sulla semiotica). Ciò che tutti quei personaggi avevano in comune era la ricerca di un cambiamento che non fosse, come era stato fino allora, solo di natura formale e sogettuale, bense di natura strutturale. Ed il mutamento fu così importante che alla fine degli anni ’60 artisti del calibro di Solomon LeWitt e Lawrence Weiner sostenevano che la vera opera d’arte non sta nell’oggetto creato, che non è forma d’arte bensì di artigianato, ma nell’idea stessa che precede la sua creazione, rendendo quasi inutile la sua realizzazione pratica.
Una piccola raccolta di opere di On Kawara, tra cui esempi della serie “I’m Still Alive” (raccolta di telegrammi in cui avvisava gli amici di essere ancora vivo) e della serie “I Got Up At” (raccolta di cartoline inviate dai luoghi in cui lo portavano le sue mostre con l’indicazione dell’ora in cui si era svegliato) è visitabile sul sito del MoMA di New York ed è chiaramente un ricordo della Mail Art e dell’americano Ray Johnson.
Claudio Grandinetti







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